Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/648

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TERZO 627 XXVH. Più opportuno all’intento potrebbe sembrare un passo di Albertino Mussato, che nacque verso l’anno 1260, e scrisse qualche tragedia, di cui parleremo nel tomo seguente. Scriveva egli la Storia delle cose avvenute in Italia dopo la morte di Arrigo VII, seguita nel 1313 , e già aveane scritti in prosa otto libri , quando egli si risolvè a continuarla in versi. Perciò veggiamo al IX libro premessa una sua lettera alla Società Palatina de’ Notai di Padova, da cui dice che era stato istantemente esortato a ciò fare, e che essi l’avevano ancor consigliato a usare non uno stil sublime e tragico, ma piano e intelligibile al volgo, acciocchè la Storia già scritta in prosa servisse a’ più dotti, questa scritta in facili e piani versi si leggesse ancor da’ notai (che allora forse non erano molto dotti), e da’ chiericuzzi ancor più minuti: hoc posùdationi he’ ..strae subiicientes, ut et illud quodcumque sit metrum, non altum, non tragaedum, sed molle et vulgi intellectioni propinquum sonet eloquium; quo altius edoctis nostra stilo eminentiore deserviret Historia , essetque metricum hoc demiss uni sub camaena leniore Notariis et quibuscumque Clericulis blandimentum (Script rer. ital. vol 10, p. 687). Noi veramente avremmo creduto che la prosa fosse più facile a intendersi che la poesia. Ma convien dire che allora si credesse altrimenti; e che il Mussato pensasse che la sua Storia fosse scritta in uno stil sì sublime, che il volgo non potesse arrivare ad intenderla; e che al contrario sperasse che i suoi versi fosser sì chiari, che unendosi alla chiarezza la