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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/649

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6u8 LIBRO soavità del metro, anche i men culti potesser leggerli con piacere. Altro senso non posson certamente ricevere, per quanto a me sembra, le parole di questo storico. Reca egli poscia, a confermar ciò che ha detto, l’esempio de’ distici di Catone, che credonsi, secondo lui, di Lucio Seneca, i quali tanto piacevano al popolo, perchè erano scritti in uno stile famigliare: quod quia plane grammate vulgari idiomati fere simillimum sanctiores sententias ediderit, suaves popularium auribus inculcavit applausus. Ove riflettasi che il Mussato prende qui il volgare idioma per uno stile famigliare e agevole a intendersi ancor da’ rozzi. Or ecco ciò ch’egli poscia soggiugne, e ciò in che egli, secondo molti, accenna l’uso già introdotto delle azioni drammatiche in lingua italiana. Et solere etiam inquitis amplissima Regimi Diu wuque gesta, quo se vulgi intelligentiis conferant, pedum syllabarumque mensuris variis linguis in v al gare s traduci sermones, et in theatris et pulpitis cantilenarum modulatione proferri. Ma parla egli qui veramente di rappresentazione drammatica? Io non ardisco negarla, perchè forse ciò appunto intendeva il Mussato. Ma le parole non son sì chiare che bastino ad affermarlo con sicurezza. Abbiamo altrove veduto che solevansi in Pozzuoli recitar sul teatro le poesie di Ennio da un cotale che perciò diceasi Ennianista. Or questa certo non era azion teatrale. Abbiamo ancor veduto poc’anzi l’uso di cantare nei teatri e nelle piazze le romanzesche imprese de’ Paladini; e pur queste ancora non erano, o almeno non è abbastanza