Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/103

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66 LIBRO giusto che ini lasciate goder (f un piacere che io mi son procacciato con sì lungo viaggio. A questa voce rimirare detta da un cieco proruppero in uno scoppio di riso i circostanti) e il cieco, io chiamo a testimonio voi stesso, disse al Petrarca; non è egli vero che io , cieco qual sono, vi veggo meglio che tutti cotesti beffatori i quali vi mirano con due occhi? Al quale scherzo ammutolirono tutti. Finalmente Azzo da Correggio, pieno d’ammirazione per questo buon cieco, il congedò con onori e con premj degni della sua magnificenza. Questo fatto ci vien narrato in una sua lettera dal Petrarca medesimo (Senil. l. 15, ep. 7). nn XIX. Più leggiadro ancora è ciò che gli av•reficebci^ venne in Bergamo, e che da lui pur si racporTato ’per conta in un’altra sua lettera, la qual però non ordinario1’»- trova che nell’edizion di Ginevra del 1601. ®or«. Era in Bergamo un orefice detto per nome Arrigo Capra, uomo d’acuto ingegno, ma che avea passata la gioventù tra’ metalli più che tra’ libri. Quando all’improvviso ei volle divenire uomo di lettere, e, trascurando i suoi usati lavori, tutto vi si consacrò e vi s’immerse profondamente. Avendo udito favellar del Petrarca , volle conoscerlo, e recatosi perciò a Milano , e accolto da lui amorevolmente , ne fu lieto per modo, che sembrava tratto fuor di se stesso. Tornato alla patria, spese gran parte di suo avere in adornare quasi ogni angolo della sua casa d’immagini e di statue del Petrarca; e con non picciola spesa ne fè copiar tutte l1 opere; e f entusiasmo di Arrigo andò tant’oltre che, benchè dissuasone dal Petrarca,