Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/118

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633 LIBRO della patria così richieda, debba depor la co tera per prender le armi, dee però maneggiarle per modo, eli* esse siano indirizzate soltanto ad ottenere una gloriosa pace. A questa lettera rispose il Dandolo a’ 22 di maggio, e la risposta è stampata essa pur tra le Lettere del Petrarca (ib. cp. a); e in essa, dopo aver esaltata con somme lodi T eloquenza e il saper del Petrarca, si scusa dall1 accettarne il consiglio, allegando esser quella una guerra cui l1 alterigia e la prepotenza de’ Genovesi avea renduta indispensabile. Questo carteggio non si stese allora più oltre. L’abate de Sade assegna all1 anno i353 una lettera inedita del Petrarca al Dandolo (Mcm. pour la vie de Petr. t 3, p. 297), in cui rispondendo a un cortese invito che fatto gli avea, di venire a fissare il suo soggiorno in Venezia , si scusa con esso lui di una cotale sua incostanza che non permetteagli il trattenersi a lungo nel medesimo luogo. Ma questa lettera, come si raccoglie da ciò che il medesimo ab. de Sade riferisce (ib. p. 355), non fu scritta che nel 1354, e dopo quella di cui ora ragioneremo. Frattanto il Petrarca era passato a Milano, e Giovanni Visconti, arcivescovo e signore di quella città, incaricollo di recarsi a Venezia l’an 1354? per usar di nuovo ogni sforzo affin di conchiuder la pace tra le due repubbliche. Ma l’eloquenza del Petrarca e dei suoi colleghi non fu bastevole a calmar gli animi troppo innaspriti. Tornato perciò senza alcun frutto a Milano, scrisse a’ 28 di maggio un’altra eloquentissima lettera al Dandolo (Furiar, ep. 3), rammentandogli ciò che a voce aveagli