Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/187

Da Wikisource.

TERZO 6yi cui direni tra’ poeti; il Mantovano, Andrea da Mantova poeta amico del Petrarca; il Perugino finalmente, Muzio da Perugia, di cui abbiamo

alcuni sonetti allo stesso Petrarca Ma chiunque

essi fossero, qui abbiam dieci Italiani noti al Petrarca come uomini intendenti nella lingua greca, oltre quegli altri che ei dice da lui conosciuti, e già morti, e oltre quelli ch’ei non avrà conosciuti. Come dunque ha potuto l’abate de Sade affermare (t. 1 , p. 406) che si penerebbe a trovar sei persone in Italia che a questi tempi sapesser di greco? Vili. 11 Boccaccio, che certamente era uno de’ Fiorentini dal Petrarca indicati, apprese il greco da Leonzio Pilato. L’ab. de Sade dice che questi era natio di Tessalonica (t 3yp. 620), e così afferma anche in un luogo il Boccaccio (Geneal. Deor. l. 15, c. 6). Ma il Petrarca ci assicura ch’egli era calabrese, e solo faceasi creder greco, per averne maggior fama: Leo noster vere Calaber, sed, ut ipse vulty Thessalus, quasi nobilius sit Graecum esse quam Italum: idem tamen, ut apud nos Graecus, sicut apud illos , credo, Italus, quo scilicet utrobique peregrina nobilitetur origine (SeniL l. 3, ep. 6); e altrove dice che due uomini assai dotti nel greco avea la Calabria avuti a’ suoi giorni, Barlaamo e Leonzio (Senil. l. 11, ep. 9). Il Boccaccio medesimo ce ne fa una pittura non molto piacevole , e cel descrive come uomo di orrido aspetto, di fattezze deformi, di lunga barba e di capegli neri, sempre immerso in profonda meditazione, di rozze ed incolte maniere, ma insieme dottissimo nella