Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/317

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TERZO 821 XXXVII. La fama a cui era salito il Petrarca pel suo valore nel poetare in amendue le lingue, gli conciliava la stima e l’amicizia di tutti coloro che alla stessa lode aspiravano; anzi egli era non poche volte importunato da alcuni , che, volendo pure sembrar poeti, e non avendo nè il talento nè lo studio che ad esserlo son necessarj, a lui ricorrevano perchè prestasse loro i suoi versi, co’ quali acquistare anch’essi la fama d’illustri poeti. E piacevole è a leggersi ciò ch’egli scrive su questo argomento al Boccaccio: Tu ben conosci, dic’egli (Senil L 5, ep. 3), costoro che campan su’ versi, e (questi ancora non loro, il cui numero è or cresciuto a dismisura. Sono uomini di non grande ingegno , ma di memoria e di diligenza grande, e di assai più grande ardire. Frequentan le corti e i palazzi de’ gran signori, ignudi per loro medesimi , ma vestiti degli altrui versi, e recitando con grande energia le più eleganti poesie or di uno, or di un altro, singolarmente in lingua italiana, si procaccian da quelli favore, denari, vesti, e doni d ogni altra sorta. Questi stromenti del lor guadagno or ad altri li chieggono, or agli autori medesimi, e o gli ottengono con preghiere , o li comprano con denaro, se ciò richiede l’ingordigia, o la povertà del venditore; come avea già detto ancor Giovenale: Esiti it intuctam Paridi nisi vendat Agaven. Quante volte vengono costoro a molestarmi e ad importunarmi colle lor preghiere! E così faranno, io credo, con altri ancora. Benché ornai TIllABOSCHl, Voi VI. 20