Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/366

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870 unito polrcbbono in questo capo aver luogo; si grande ne è il numero , come ben può raccogliersi dalle Storie del Crescimbeni e del Quadrio. Ma qual sarebbe il frutto di tal fatica? Nuli’ altro, come già ho accennato, che il sapere che il tale e il tal altro fecer de’ versi, del che io non credo che sia molto sollecito chi legge questa mia Storia; e che non parmi necessario a dare una giusta idea dell’italiana letteratura, potendoci bastare il sapere che grandissimo fu a questa età il numero de’ poeti che verseggiarono volgarmente. Solo vuolsi aggiugnere che tale era in questo secolo, se così possiam dire, la mania di verseggiare, che anche tra i principi e signori italiani furon moltissimi che ci lasciarono lor poesie. Già abbiamo altrove parlato di quelle di Luchino Visconti, di Guido Novello da Polenta, di Bosone da Gubbio, di Francesco Novello da Carrara. Oltre questi nella Storia del Quadrio veggiam indicate le Rime di Can Grande dalla Scala (t. 2 , p. 274)? di Castruccio Castracani signor di Lucca (ib. p. 177), e di Arrigo di lui figliuolo (ib. p. 179), del co. Guicciardo dei conti Guidi (ib. p. 180), di Bruzzi Visconti figliuol naturale di Luchino (ib. p. 188), di cui negli antichi Annali Milanesi si dice (Script. Rer ital. vol 16, p. 720) che era uomo ingegnoso e coltivatore delle scienze morali, e che da ogni parte radunava libri, di Aston e Manfredi signor di Faenza (Quadr. l. cit. p. 192), di Lodovico degli Alidosi signore d1 Imola (ib. p. 194); i nomi de’ quali ci basti l’aver qui accennati a onore della poesia italiana. Ed io farò fine alla serie de’ poeti di questo secolo