Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/41

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primo a5 i tumulti ancora e fra l’armi non avesser le lettere un sicuro ricovero j cil essi non ci credeano felici abbastanza, se alle altre lor glorie quella ancor non aggiugnessero di avere in pregio le scienze. E in ciò pensarono saggiamente; perciocchè per tal modo ottennero di aver tanti encomiatori delle lor geste, quanti erano i dotti a cui accordavano la loro protezione, e di assicurarsi presso dei posteri un’eterna onorevole ricordanza. Veggiamo partitamente ciò che di essi ci hanno tramandato gli scrittori loro contemporanei y e cominciam da’ Visconti. 11. Di Giangaleazzo abbiam già ragionato nel quinto tomo di questa Storia. De’ due figli a cui lasciò morendo i suoi Stati, Giammaria non si rendette famoso che pe’ suoi vizj, pei quali ancora perdette presto la vita , come si è detto. Filippo Maria, benchè ben lungi dal potersi nel valore e nel senno uguagliare al padre, in ciò nondimeno che appartiene al fomentare gli studj, ne seguì non infelicemente gli esempj. Pier Candido Decembrio, che ne ha scritta la Vita pubblicata di nuovo dal Muratori, racconta (Script. rer. ital. vol. 20, p. ioi.j) ch’egli era stato istruito nelle belle lettere singolarmente collo studio delle poesie italiane del Petrarca, delle quali tanto si compiaceva, che ancora essendo duca faceasele legger talvolta, indicando egli stesso qual più gli piacesse; e aggiunge che udì ancora spiegarsi la Commedia di Dante da un certo Marziano da Tortona; che qualche parte ancora studiò delle Storie di Livio; che piaceangli le Vite degli Uomini illustri scritte in lingua francese, cioè, come io penso, i