Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/548

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532 L1HRO propter quos postea me destruxit, ut scedulae os tendimi per ignorantis si ni um Jacob uni Cremoncnsem appostine, cioè quel Jacopo Cassiani di cui altrove diremo. Che cosa egli scrivesse in quelle schedole, nol sappiamo. Ma queste parole ci fan vedere chiaramente che il Comento sopra f Almagesto di Tolommeo, qualunque ragion se ne fosse, ne fece cader l’autore in disgrazia presso il pontefice. Niccolò V adunque sdegnato contro Giorgio, gli comandò di uscire da Roma. Quando ciò accadesse, raccogliesi dalle lettere che in quel tempo corser tra lui e Francesco Barbaro. Giorgio in una sua lettera gli dà nuova della versione di Tolommeo ingiuntagli dal pontefice, e Francesco gli risponde con due sue lettere de’ 7 e de’ 15 di marzo del 1452 (Barbar. ep. 198, 199, 200). Quindi Giorgio di nuovo gli scrive da Napoli a’ 17 di settembre dell’anno stesso (ib), ep. 201), e gli dice che pochi giorni dacchè ebbele ricevute in Roma, avealo la fortuna oppresso per modo, che non avea avuto coraggio di rispondergli , e che ora, essendo già da più mesi con tutta la famiglia in Napoli sicuro e tranquillo, avea finalmente risoluto di scrivergli. Andrea figliuol di Giorgio, nella prefazione all’Almagesto di Tolommeo tradotto da suo padre, afferma che il re Alfonso non solo amorevolmente lo accolse, ma assegnogli ancora lauto stipendio con cui sostenere e sè e tutta la sua famiglia. Ma un’altra lettera di Giorgio al Barbaro ci mostra il contrario. Aveagli Giorgio inviata la sua traduzione delle Leggi di Platone, cui per consiglio di esso dedicata avea alla Repubblica