Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/549

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SECONDO 533 Veneta. Ora di ciò scrivendogli a’ 14 di agosto del i [33 (giacche io credo che per errore leggasi nella stampa XXVII Cal. Septemb. invece di XVIII) gli si raccomanda ep. 210) perche gli impetri dalla Repubblica qualche soccorso all’estrema sua povertà necessario: Io ho, gli dice, due figli, e cinque figlie, (due delle quali già nubili; e la fortuna mi è stata così crudele, che non si può pensare più oltre. Perciocchè trasportato da Roma tutto il denaro mio e de’ miei figli, avendo questi cominciato a trafficare con quello che raccolto aveano col vender colà i loro impieghi, e avendo io consegnato il mio a’ banchieri, tutti coloro, a’ quali ed essi ed io ci eravamo affidati, sono falliti, sicchè appena mi rimane onde vivere, nè vi è speranza alcuna di provvision regia, o di salario. Il Barbaro non ebbe tempo di giovare, come avrebbe voluto , a Giorgio, perchè pochi mesi appresso morì. Venuto a Napoli verso il tempo medesimo Francesco Filelfo, questi ripassando per Roma nel tornare a Milano, parlò in favore di Giorgio al pontefice Niccolò V, e con qual felice successo udiamolo da lui medesimo che così gli scrive da Roma a’ 28 d’agosto dello stesso anno (l.11, ep. 38): Appena giunto a Roma, e introdotto al potitefi.ee, che era assai travagliato dalla podagra , ho tosto ottenuto ciò che partendo di costà io ti avea promesso, e ho trattato sì bene la tua causa, che mi è riuscito di piegare in tal modo l'animo del pontefice prima assai da te alienato, come ben sai, che non solo permette, ma sembra ancor che desideri il tuo ritorno.