Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/177

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SECONDO 8 lf) reggendosi ornai giunto a un’estrema vecchiezza. determinossi di ritornare in Italia, e chiese perciò al duca il congedo. Questi tentò ogni mezzo per ritenerlo; ma vedutolo fermo nel suo pensiero, lo accompagnò con sue lettere patenti di sommo onore, che ivi pure si riferiscono. Giunse frattanto 1 avviso a Federigo duca di Sassonia, che Pietro facea ritorno in Italia, ed egli insiem con Giovanni suo fratello formarono tosto il pensiero di condurlo alla nascente loro università di Vittemberga, e inviarono alcuni messi, acciocchè lo invitassero. Ei finalmente si arrese alla loro dimanda; e recatosi a Vittemberga, fu da que’ principi accolto come ad uomo sì celebre si conveniva. Non solo vollero ch’egli prendesse ivi a spiegare le leggi; ma gli addossarono la cura e il governo di quella loro università. Andavano essi medesimi a udirlo, quando avean qualche tregua dai pubblici alfa ri; e Pietro era l’oracolo della corte non meno che de’ cittadini. Quando un funesto contagio, che menava strage grandissima in Vittemberga, lo costrinse a partire; e allora fu ch’egli si trasferì a Colonia. Nè perciò il duca cessò di averlo carissimo. Il Grazio afferma di aver vedute ben dieci lettere che quel sovrano avea scritte di propria mano a Pietro, e una ne riferisce piena di sentimenti di affetto e di stima per lui, congiunti colle più fervide istanze, perchè faccia colà ritorno. Anzi, come racconta lo stesso Pietro (in l. ad mag. Jacobum de alta Platea), ei fondò in Vittemberga una cattedra con determinato stipendio, perchè si leggesse il conipeudio