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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/220

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2o6 libro tratterrò solo a esaminare ciò che in esse vi ha più degno d’osservazione, e a ricercarne lo spirito e l’indole, anzi che la semplice storia. 11. L’Accademia romana, cominciata già da Pomponio Leto, quindi travagliata e distrutta ^ nel pontificato di Paolo II, e risorta poscia

ancor più gloriosa di prima, fioriva felicemente

a’ tempi di Giulio II. Una elegante e leggiadra lettera latina di Fedro Inghirami a un certo Andrea Umiliato, ch era uno degli accademici, scritta da Roma nel dicembre del 1506, ci dà una bella idea delle loro adunanze e de’ loro scherzi; vi si nominano i Zebaldi, il Blosio, il Savoia e più altri accademici, si parla de’ comizii che doveano tenersi, e del dittatore che avea ad eleggersi, e vi si scorge il talento di proverbiarsi piacevolmente a vicenda, ch era lor proprio. Ecco come ivi si parla del detto Savoia: Advola obsecro, et accurre, si vis ridere, quantum et Democritus numqnam risit: Savoja unguenta tractat et Cyprium pulverem, pulverem, inquam, Cyprium et unguenta tractat Savoja. Qui antea bubulcitari tantum solebat, bubus equisque stipatus vadebat, nunc delicatus Myropolas adit, deque odoribus disputat. Nam quid ego narrem tibi Hispanicas manicas, Gallicas vestes, Germanas soleas, ec. (Marq. Guidii Epist. p. 140). Ma ella non fu mai in istato si fiorente e sì lieto, quanto a’ tempi di Leon X. Il fiore de’ più leggiadri ingegni italiani era ivi raccolto', che vivendo insieme in amichevole società sovente si radunavano or nella casa di alcuno dei’ loro splendidi mecenati, or in qualche ameno giardiuo,