Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/389

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PRIMO ornarono le loro case di monumenti antichi, ci diedero pruova della stima in cui gli avevano, coll’andare in traccia di essi e delle iscrizioni singolarmente, traendone copia e unendole insieme a vantaggio degli studiosi. Benedetto Ramberti segretario del Senato veneto, e custode della pubblica biblioteca di S. Marco, avendo dovuto per comando della Repubblica viaggiar più volte in Allemagna, in ispagna e in diverse altre provincie tra’l i53o e ’1 ¡5^0, andò raccogliendo quante potè trovare iscrizioni, e ne formò un ampio codice che tuttor conservasi, e di cui ci dà un’esatta descrizione il padre degli Agostini, che del Ramberti e di qualche altra operetta da lui composta ragiona colla consueta sua diligenza (Scritt venez. t. 2, p. 556, ec.). Somigliante opera avea intrapresa Francesco Pedemonte, il quale avendo copiato gran numero d’iscrizioni, pensava di darle in luce dedicandole al re Filippo II, e voleva perciò mandarle a Pietro Vettori, acciocchè fossero stampate in Firenze, com’egli gli scrive da Napoli (Cl. Viror. Epist. ad P. Victor. t. 3, p. 236). Ma avendogli il Vettori risposto che la stamperia di Firenze erasi allora dissipata e di sci olla (Victor, ep. p. 53), pare che il disegno del Pedemonte non fosse condotto ad effetto. Due Veneziani, Pellegrino Broccardo e Marco Grimani, recatisi quasi al medesimo tempo in Egitto, vi osservarono i monumenti ivi rimasti, e singolarmente le famose piramidi, eie delinearono, copiando ancor le iscrizioni che in varii luoghi leggevansi. Nè l’uno nè l’altro lavoro ha veduta la luce; ma di quel del Grimani si è valuto il Serlio