Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/504

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49° libro destinò la sede arcivescovile di Salerno allora vacante; e il Seripando che avea già rifiutato il vescovado dell'Aquila, non potè questa volta sottrarsi al peso. Tornato dunque in Italia, e preso nel 155.| il possesso della sua Chiesa, colla celebrazione del sinodo, colla riformazione del clero, col ristoramento delle fabbriche e de sacri arredi, compiè verso di essa i doveri di saggio e zelante pastore. Nel i5(5i a’ 2G di febbraio fu da Pio IV' onorato della sacra porpora, e nel tempo ch ei trattennesi in Roma, fu un di quelli che con più fervore si adoperarono perchè si aprisse dal papa una magnifica Stamperia, e fosse chiamato a presiedervi Paolo Manuzio (V. Pogian. Epist. t. 1, p. 328, 330, 333; Miscell Coll. rom. t. 2, p. 3i-), di clic altrove si è detto. Pochi giorni appresso fu dallo stesso pontefice nomin ilo tra1 presidenti al concilio che allor dovea riaprirsi; ed egli nell andare a Trento, passando per Bologna, ebbe l onore e la sorte di riunire in pace i due celebri letterati, il Sigonio e il Robortello, che già da gran tempo si combattevano furiosamente fon l1 altro (V. Pogian. Epist t. 2, p. 317). Di ciò ch’egli operasse nel proseguir quel concilio, ognun può vederne il racconto nelle Storie di esso. Aggiugnerò solamente ch’ei fu uno de destinati a formarne i decreti e i canoni; ove vuolsi avvertire che il ch. P. Lagomarsini ha dimostrato esser falso (ib. t 3,^99) ciò che alcuni affermano, cioè che i detti decreti e canoni, quanto allo stile, fosser opera di Paolo Manuzio. Mentre il cardinale Seripando promuoveva felicemente un' opera sì vantaggiosa