Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 2, Classici italiani, 1824, XI.djvu/486

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to86 LIBRO «piegasse pubblicamente le leggi, fu nondimeno famoso giureconsulto. Quella di Ferrara lo ebbe a suo allievo, e nel numero di essi lo registra il Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2, p. 283). Fino al 1527, nel qual anno ei contavane 32 di età (Vedriani, Dott. moden, p. 123), non abbiam precisa contezza delle occupazioni da lui avute. Nel detto anno egli era in Ferrara, ma colà venuto di fresco, come raccogliesi da una lettera a lui scritta da Celio Calcagnini nell’ottobre del detto anno, in cui si duole che il Bellincini abbia dovuto partir da Ferrara per assistere a suo padre gravemente infermo in Modena, e che, appena avea cominciato a conoscerlo e ad amarlo, sia stato costretto a distaccarsi da lui (Calcagn. Op.p. 133). La stima in cui era di dotto giureconsulto il fece chiamare a Parma colla carica di podestà, ed ivi trattennesi nel 1528 e nel 1529, di che fan fede le molte lettere che in quel tempo gli scrisse il dottissimo monaco Isidoro Clario, il qual rapito da molti rari pregi del Bellincini, con lui contrasse una strettissima amicizia (Clarii Epist. p. 78, 81, 88, 102, ec.). Fu poi ancora auditor nella Ruota in Genova, e in somigliante impiego fu chiamato ad Urbino, ma non sappiamo precisamente in quali anni. Della prima di queste cariche ei fu debitore al Cardinal Gregorio Cortese, che avea con lui qualche vincolo di affinità, e che in una lettera al Bellincini medesimo fa ben conoscere in qual concetto lo avesse: Cum praeclaram indolem tuam. gli scriv egli (Cortes. Op. t. 2, p. 177), suavissimos mores, multiplicem atque adeo in omni