Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 2, Classici italiani, 1824, XI.djvu/547

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SECONDO S i 47 più altri «omini dotti, de’ quali non è qui luogo di favellare, han rivolto i loro studii a nuove correzioni dello stesso Decreto, e forse hanno ancor lasciato a’ lor posteri di che occuparsi. XXXIV. Di molti fra gli uomini dotti che si adoperarono nella correzion del Decreto, abbiamo già parlato in questo capo medesimo e altrove; e di qualche altro dovrem poi ragionare. Qui direm solo di Latino Latini, uomo tanto più degno d’immortale memoria, quanto meno sembrò egli avido di ottenerla. Il P. Niceron ne ha scritta la Vita (Mém, des Homm. ill t. 41, p. 343, ec.), tratta da quella che più diffusamente ne ha steso Domenico Magri, e ch è premessa alla Biblioteca sacra e profana dello stesso Latini. Egli era natio di Viterbo, e avea fatti in Siena i suoi studi, soggiornando a tal fine undici anni in quella città, ch’ei solea perciò rimirare come una seconda sua patria. Le frequenti infermità lo costrinsero a lasciare il faticoso studio della giurisprudenza, a cui si era applicato, e si volse in vece allo studio dell’erudizione, della critica e della letteratura così sacra come profana, studio che quasi per trastullo da lui abbracciato, lo occupò poscia per modo, che pochi sostennero in esso sì gravi fatiche. Il P. Niceron afferma che al Latini mancò la cognizione della lingua greca; ma basta legger le lettere da lui scritte per conoscer che anche di questa avea egli fatto studio. Lo'stesso P. Niceron dice che il Latini nel 1554 portatosi a Roma, vi prese l’abito ecclesiastico, e che cinque anni appresso fu preso a suo segretario dal Cardinal Jacopo dal Pozzo da noi