Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/215

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TERZO 1367 chiesa di Santa Maria alla Minerva, pianto non men che encomiato e in prosa e in versi da tutti i più eruditi uomini che allora vivessero. LI. Ed era in fatti il Bembo uomo 'degnissimo della loro stima e degli onori che gli ren- « derono. Oltre il vantaggio da lui recato colle belle raccolte da noi già qui e altrove accennate di antichità e di libri, e col favore da lui continuamente prestato agli uomini dotti, si può dir con ragione ch’ei fosse il primo a far risorgere a nuova luce la poesia italiana, che nel secolo precedente era divenuta assai rozza, in ciò che appartiene allo stile, come a suo luogo si è osservato. Il Bembo, benchè nato ed allevato appunto in que’ tempi ne’ quali il gusto era più corrotto, invece di attenersi agli esempii che avea innanzi agli occhi, prese per sua guida il Petrarca, e su quel perfetto modello studiò di formarsi. Egli è vero che nelle rime del Bembo non vedesi una certa facilità e morbidezza che rende più amabile la poesia; ma se si pongono a confronto con quelle de’ rimatori vissuti al fine del secolo xv e al principio del xvi, si scorgerà agevolmente qual differenza passi fra fune e l’altre, e quanta lode perciò debbasi al Bembo che seppe sì ben sollevarsi sopra il volgo degli altri poeti. Lo stesso difetto di asprezza e di stento si trova nelle opere da lui scritte in prosa italiana, come nelle Lettere, negli Asolani e nelle Prose; difetto però, ch è ben compensato dalla eleganza dello stile e dalla sceltezza delle parole. E in ciò ei non fu solo esemplare, ma ancor maestro colle suddette Prose, nelle quali egli fu o il primo, o