Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/361

Da Wikisource.

TERZO l5l3 del Doni, è di tal peso, che non sembra potersi atterrare da qualunque altra ragione. Ella è però cosa degna d’ osservazione che il Doni non fa mai cenno di ciò, e niuno dei suoi nimici mai non gli oppose tal cosa; anzi in una sua lettera, scritta nel 1543 a Frate Buonaventura Torrigiani, scherzando sulla vita piacevole che questi menava, dice: M è venuto alcuna volta fantasia di farmi frate, et far la vita vostra (Lettere, p. 7). Se però egli fu frate, ciò fu certamente prima dell’ anno accennato, e forse è,corso errore di stampa, ove il Zeno dice ch’egli ne uscì circa il 1547" (Note al Fontan. t. 2, p. 413); perciocchè lo stesso Doni, in un’altra sua lettera al duca Cosimo, scritta nel detto an 1543, Io sono un Prete, dice (Lettere, p. 23), che familiarmente favello con V. S. Illustrissima, et mi chiamo il Doni; sono presso a tre anni, ch io uscii di Fiorenza; et son Musico, Scrittore, dotto in volgare, et di nove per Greco; son Poeta, ch io dovea dire innanzi; et perchè mi conosciate ch io sono, oltre Cessere vassallo, affezionato, et vi vo bene, mando a V. E. un mottetto di Giacchetto Berthè ni, degno certo di venire alle mani di tal Signore; et mando a’ vostri Cantori una mia Canzone; mandovi due Sonetti composti dalla mia sprofondata memoria, scritti di mia mano et disegnati i canti, i Sonetti, et le carte. Et non pensate ch io uccelli con questi uncini d aprirvi la scarsella. Ringraziato sia Iddio: io ho tanti denari che non li posso spendei'e. Vivo di Chirieleison, et di Fidelium animae, ec. Allora dunque non era più frate il Doni, e giù Tiraboschi, Voi. XII. a3