Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/142

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2104 LIBRO sarebbe a bramarsi che ne avesse l’Italia avuta sempre ugual copia. Noi frattanto, dopo avere generalmente parlato de’ coltivatori della poesia latina, passiamo a dir di coloro che in qualche particolar genere si esercitarono con molta lode. XXXVIII. Nel ragionare poc’anzi di Marcantonio Flaminio, abbiamo osservato ch’egli ebbe il coraggio di accingersi alla difficile impresa di recare in versi latini alcuni de’ Salmi di Davide. La stessa impresa fu poi da due altri poeti felicemente eseguita , cioè da Giovita Rapicio, che scrisse la Parafrasi di alcuni Salmi in verso, e da Publio Francesco Spinola, che recolli parimente in versi latini. Del primo ci riserbiamo a trattare nel capo seguente. Il secondo non fu nè genovese di patria, come alcuni hanno creduto, nè bresciano, ma milanese, come pruova l’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 2 , pars. 1, p. 1431), e come confessa anche il Cardinal Querini (Specimen 11 ri oc. l’iter, t. 2, p. 202). Fu professore di belle lettere in Milano, in Brescia, in Verona e in altre città, e gran numero di Poesie latine diede alle stampe congiuntamente nel 1563. La Parafrasi de’ Salmi era uscita alla luce fin dall’anno innanzi, e alcune altre opere ancora in prosa di diversi argomenti ce ne sono rimaste. Questa Parafrasi però, benchè da alcuni lodata, fu da altri, e in maggior numero, biasimata, come non molto elegante. E a me sembra, a dir vero, ch’ella sia inferiore non a quella del Flaminio soltanto, ma a quella ancor del Rapicio. Io non so su qual fondamento il Gerdesio abbia annoverato ‘ \