Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/29

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terzo 199 r l1 Ippolito, sostenne con tale applauso il personaggio di Fedra, che d1 indi in poi fu sempre soprannomato Fedra o Fedro. Così racconta di aver udito dallo stesso cardinale Riario il celebre Erasmo, che dice di aver in Roma conosciuto Tommaso, da lui per errore detto Pietro, e ne loda assai l’eloquenza, per cui afferma che ei fu detto il Tullio della sua età (Erasm. Epist. t. 1, ep. 671). Alcuni aggiungono che il plauso in quell occasione da lui ottenuto dovettesi principalmente alla prontezza con cui, essendo in iscena, rottasi una macchina del teatro, per cui conveniva interromper Fazione, la sostenne e la continuò egli solo, recitando all’improvviso non pochi versi. Ma di ciò io non trovo memoria negli scrittori di que’ tempi. Ben trovansi ne medesimi frequenti elogi del raro ingegno e dell’ ammirabile eloquenza dell’ Inghirami. Il Sadoleto lo introduce a favellar nel Dialogo in cui prende a biasimare i filosofici studj, la difesa de’ quali affida egli poscia a Mario Maffei, e ne rammenta i detti faceti, e talvolta ancora pungenti, co’ quali solea condire i suoi discorsi, ma n esalta principalmente la singolare eloquenza: Quod ne longe abeat., così egli fa dir al Maffei (De Laudib. Philos. p. 187, ed. veron.), in' tua ipsius arte potes, Phoedre, perspicere. Quum enim te Oratorem nobis preabeas gravem atque magnum, quod idem facere nituntur in hac Civitate permulti, quid causae est, quod te dicent c concurrimus omnes undique, attendimus, admiramur, t nacque eloquentiae fulmina quasi extimescimus?