Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/369

Da Wikisource.

terzo a33i ganza con cui parla talvolta di sè medesimo, e dallo stile poco felice con cui sono scritte. VII. Rimane a vedere per ultimo qual fosse in questo secolo lo stato dell’eloquenza sacra. Poco, a dir vero, ha in ciò l’Italia di che vantarsi; e qual fosse il carattere de’ predicatori, singolarmente sul principio del detto secolo , non può meglio spiegarsi, che col riferire una risposta che, come narrasi da Ortensio Landi, diede il Bembo: Fu dimandato una volta, dice egli (Paradossi, l. 2, parad. 29), essendo io in Padova, a Mons. Bembo, perchè non andasse la Quaresima alle Prediche; e rispose egli incontanente: Che vi debbo io fare? perciocchè mai altro non vi si ode, che garrire il Dottor Sottile contra il Dottor Angelico, et poi venirsene Aristotile per terzo a’ terminare la quistione proposta. Questo abuso di riempir le prediche di scolastiche sottigliezze, e di affastellare insieme mille citazioni di scrittori sacri e profani , erasi introdotto, come a suo luogo abbiamo osservato, nel secolo precedente, e mantennesi ancora per qualche tempo sul principio di questo. Si conobbe poscia che non era quello il modo di declamare dal pergamo, e che altro frutto non se ne coglieva comunemente, che o una infinita noia degli ascoltanti, o una sterile ammirazione per la dottrina dell’oratore. Cominciossi dunque a cambiar metodo e stile, e ad annunciare la divina parola con quella maestà e insieme con quella forza che le conveniva. La storia ecclesiastica di questo secolo ci ha lasciata la memoria di molti che in ciò si esercitarono coli