Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 2, Classici italiani, 1824, XV.djvu/251

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TERZO n7 5 modelli «li cristiana eloquenza , per secondare il genio de’ loro uditori, si diedero a scrivere in una maniera che forse essi medesimi disapprovavano. Io ne veggo la pruova in uno degli oratori di questo secolo, di cui non v’ ha forse chi sia ito più oltre nell’uso delle più stravaganti metafore e de’ più raffinati concetti; dico del P. Giuglaris Gesuita. Egli oltre le prediche e i panegirici, che sono, si può ben dire, la quintessenza del secentismo, ha tra le altre sue opere quella che ha per titolo la Scuola della verità aperta a’ Principi, da lui scritta ad istruzione del real principe di Piemonte. In essa appena si riconosce l’autor delle prediche; così ne è diverso lo stile, e così essa appena ha un’ombra assai lieve de’ vizii del secolo, ma è stesa in uno stil grave, serio, conscio, e non senza eleganza. Ma egli in quest’opera intendeva sol di parlare a quel principe e ai grandi; nelle prediche ragionava ad ogni genere di persone, e perciò secondo le diverse occasioni usava diverso stile, come alle circostanze gli sembrava opportuno. I più dotti e i più saggi mal volentieri vedevano questo abuso dell’ingegno e dell’eloquenza; ma il lor numero era, come sempre avviene, troppo scarso, per poter fare argine al torrente. Così narra l’Eritreo che accadeva, quando predicava in Roma F. Niccolò Riccardi Domenicano, genovese di patria, ma allevato in Ispagna, e che ivi cominciato avea a esercitarsi nell’apostolico ministero con tale applauso, che il re Filippo III soleva, a spiegar la grandezza dell ingegno che in lui scorgeva, chiamarlo un mostro. Venne