Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 2, Classici italiani, 1824, XV.djvu/409

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c)33 sesto generai concilio, dice che manda ad esso i suoi legati uomini di probità e di zelo, e che alla mediocrità della loro scienza supplivano col conservare intatta e pura la tradizion de’ maggiori. Ma come mai ho io potuto scriver tal cosa, se anzi il pontefice riconosce ne’ suoi legati, come mi fa osserv are V. P. reverendissima, una abbondante scienza: την περισσευουσην ἐις; αὐτους; ἔιδησιν abundantem in eis scientiam? Io ho voluto esaminare qual origine potesse aver avuta il mio errore; e ho presa perciò tra le mani la Collezione de’ Concilii; e ho di fatti conosciuto in qual modo io mi sia ingannato. Nel testo greco si legge così: oùx evacev r.apjt&rioui rrej ite avrei»; nepi?rtuovir,; zidr^Etù;. Delle quali parole V. P. reverendissima, per amore di brevità, ha ommesse le prime. Io che non son greco di nascita} e che nel greco non son dottissimo, ho creduto che οὐκ significasse non, e che perciò quelle parole si dovesser così tradurre: non pro confidentia eorum superabundantis scientiae, e dovessero intendersi in questo senso, che il papa non si confidava già nella loro scienza, come se essa fosse soprabbondante e vastissima, ma nella sincerità della loro Fede e nel loro zelo nel custodire le antiche tradizioni; e tutto il contesto parevami che richiedesse una tale spiegazione: perciocchè il papa soggiugne: Nam apud homines, qui sunt in medio gentium, et ex labore corporis cum magna dubitatione victum quærunt, quomodo plene inveniri poterit scientia Scripturarum? Ove io credeva che scientia Scripturarum volesse dire