Pagina:Tommaso da Kempis - Della imitazione di Cristo, Verona, 1815.djvu/226

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214 libro iii.


4. Grazie a te, dal quale tutto mi viene, checchè di bene m’avvenga. Ora io son vanità, e niente dinanzi a te, incostante ed infermo. Dond’è adunque che io possa gloriarmi, o che appetisco io d’essere riputato? forse del niente? ma e questo è pur grandissima vanità. Oh gloria, vana veracemente, ria peste, e massima vanità! che l’uomo dalla vera gloria ritrae, e della celeste grazia ci spoglia! poichè mentre l’uomo compiacesi in se medesimo, egli dispiace a te; e mentre agogna le lodi degli uomini, è privato delle vere virtù.

5. Or vera gloria e santa esultazione è il gloriarsi in te, non in sè; rallegrarsi nel nome tuo, non nella propria virtù, nè in creatura del mondo mai dilettarsi, se non per te. Al nome tuo sieno laudi, non al mio: le opere tue, non le mie sieno magnificate; il santo tuo nome esso sia benedetto, e niente a me s’attribuisca di lode dagli uomini. Tu sei la mia gloria, tu la esultazion del mio cuore: in te glorierommi ed esulterò tutto giorno; per quello poi che è in me, niente, fu[or] solamente nelle mie infermità.