Pagina:Torre - Del concetto morale e civile di Alessandro Manzoni.djvu/125

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sacri, così sublimi nella loro schietta semplicità, così soavi al cuore degli addolorati, così pieni di fede e di amore, nei quali, mentre si celebrano i divini misteri della religione dei padri, si canta al compimento degli umani destini, alla fratellanza universale delle genti, al dritto che pone l'umile e l'oppresso al di sopra del potente e dell'oppressore. La mesta armonia di quelle note fu per l'Italia una nuova rivelazione del genio; se ne commosse sino negl'imi precordi, ed in Manzoni salutò il poeta della giovane scuola, che poste da banda le fole dell'antica mitologia,1 armò l'arpa davidiea di novelle corde ed in quello che inneggia alla patria celeste, non pone in oblio questa, fatta abitacolo della specie umana, in cui alberga lo spirito immortale. Chi non si è sentito

  1. Nella nota lettera sul romanticismo scritta a Cesare d'Azeglio, il grand'uomo così propugna il suo assunto: «Cosa assurda parlar del falso riconosciuto, coma si parla del vero, per la sola ragione, che altri, altre volte, l'hanno tenuto per vero; cosa fredda l'introdurre nella poesia ciò che non richiama alcuna memoria, alcun sentimento della vita reale; cosa noiosa il ricantar sempre questo freddo, e questo falso; cosa ridicola ricantarli con serietà, con un urla reverenziale, con delle invocazioni, si direbbe quasi, ascetiche.»