Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/233

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EVA.

XXXV.

Augusto a Leonardo.

Se v'ha ancora qualche cosa che possa consolarmi, è la tua felicità. È una stella che splende sull'oscurità del mio orizzonte. Nel tuo amore, che si chiama pace, la felicità è luce vera; ma nel mio, che si chiama tempesta, è quella luce di fulmine, che abbaglia, impaura, distrugge.

Io sono distrutto, amico. Porto nel mio corpo vivo, un cuore morto che mi assidera. Il passato mi reclama; rimango delle giornate intere col capo fra le mani, chiudendomi gli occhi colle palme per rivivere col pensiero ne' giorni trascorsi.

Per qualche tempo m'era riuscito d'assorbirmi nel lavoro; ma era una lotta improba che non poteva durare. Era come se avessi impreso a traversare il mare a nuoto; non c'è abilità nè forza di nuotatore che basti. Si sta a galla un'ora, due ore; un tempo relativamente lunghissimo; ma poi le forze diminuiscono, ed il mare rimane sempre in tutta la sua potenza funesta; lascia che l'uomo esaurisca i suoi sforzi da pigmeo, ma, appena l'energia gli vien meno, lo avvolge nelle onde e lo ingoia. Il mio dolore era anch'esso immenso come il mare, e mi travolse.

La pubblicità che si dava al mio nome mi faceva tremare. Mi pareva che ognuno dovesse leggermi sul volto le tempeste dell'anima. Mi pareva che, ad ogni applauso concesso alla mia opera, dovesse risponde