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MANZONI E ROMA LAICA



Ce déplorable Manzoni!, avevano esclamato, sconcertati, gli scrittori dell’Univers, ch’erano gesuiti. S’aspettavano ch’egli respingesse la nomina di senatore del Regno d’Italia, ed egli invece l’aveva accettata; s’aspettavano che almeno ei si considerasse un senatore in partibus e non prendesse alcuna parte ai lavori dell’alto consesso, e invece, nonostante «l’età e la malferma salute» che aveva lasciato sperare non gli avessero permesso «nemmeno di tentare l’adempimento dell’alto incarico», il 26 febbraio del 1861, vecchio di settantasei anni, era voluto esser presente alla storica seduta del Senato, in cui si proclamò Vittorio Emanuele II Re d’Italia. E ora, ora poi non dubitavano che, dopo quella solenne affermazione d’italianità, volesse rimanersene tranquillo a casa sua, a godersi in pace gli omaggi e i fastidi che l’immensa celebrità del nome gli procacciava da ogni angolo d’Italia, anzi del mondo. Il più pericoloso e irresistibile tentatore e seduttore del pericoloso vegliardo era sparito, il 6 giugno del 1861, dalla scena della vita; e i reazionarii e i ritardatarii tiravano il fiato. Oh, finalmente, si sarebbe tornati indietro, o se non altro si sarebbe andati più adagio! Gli scontenti erano tanti, nelle file più diverse e avverse; e si trovavano d’accordo in questo almeno: nel recalcitrare, per sostare o mutar rotta. La viltade li rivolgeva dalla onrata impresa «come falso veder bestia quand’ombra».

Il Manzoni invece ne preparava un’altra delle sue.

Fin dall’11 ottobre 1860, Cavour aveva, nella Camera Subalpina, affermata la necessità che Roma divenisse la