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240 ESCHILO

efesto
Forza, Potere, gli ordini di Giove
già compiuti per voi furono; e nulla
piú vi trattiene. Ma legare a forza
su questo abisso procelloso un Nume
ch’è del mio sangue, non mi regge il cuore.
E forza è pure che mi regga. Gli ordini
trasandare del padre, è dura prova.
Oh di Tèmide giusta audace figlio,
malgrado tuo, malgrado mio, con bronzei
ceppi, che niuno a scioglier valga, a queste
cime deserte io ti configgerò,
dove né voce udrai, né forma d’uomo
vedrai: del sole arso a la fiamma rutila,
tramuterai de la tua cute il fiore:
a tuo sollievo asconderà la notte
con lo stellato suo manto la luce,
ed ecco il sole dissipa di nuovo
la mattutina brina. E col suo peso
il mal presente ognor ti crucierà:
ché non ancor chi ti soccorra è nato.
Dell’amor pei mortali è questo il frutto.
Poiché senza temer l’ira dei Numi,
Nume tu stesso, indebiti favori
agli umani largisti. Ora, in compenso,
vegliar dovrai questa dogliosa rupe,
senza mai sonno, in piè, senza mai flettere
le tue ginocchia, e cento ululi e gemiti
invano leverai: ché il cuor di Giove