Pagina:Tragedie di Eschilo (Romagnoli) II.djvu/27

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24 ESCHILO

E quando intòno — a cogliere un antidoto
che il sonno vinca — un canto od una nenia,
io gemo allora, e piango la ventura
di questa casa, che non è piú retta,
5come già fu, pel meglio. Ed ora giunga,
giunga felice dei travagli il termine,
col fausto annunzio del notturno fuoco.
Lunga pausa. Poi, sulla cima del colle Aracneo, che incombe sulla città, s’accende e giganteggia un’immensa fiammata.
Oh! Salve, fiamma, che dïurna luce
annunzi nella notte, e danze in Argo,
10danze, mercè di questa sorte fausta!
Evviva! Evviva!
Dirò chiaro alla sposa d’Agamennone
che subito dal letto sorga, e innalzi
per questo fuoco un ululo di gioia
15nella casa: ché presa è la città
l’Ilio, come la face annunzia e brilla.
Io stesso il primo canto levo, e danzo:
ché tale colpo ai dadi della sorte
gittò pei signor’miei la mia custodia:
20tre volte sei. Deh! Com’ei giunga, io possa
con questa mano premere la mano
del re di questa casa, e un bacio imprimervi1!
Taccio del resto: un grosso bove2 calca
la mia lingua. Le mura stesse, se
25avessero la lingua, parlerebbero
a chiare note. Io con chi sa, favello
volentier: tutto con gl’ignari oblio.
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