Pagina:Tragedie di Eschilo (Romagnoli) II.djvu/71

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68 ESCHILO

d’una zanzara mi destava; e tue
900sciagure viste avea, piú che del sonno
non ne capesse il tempo. - Ed or che il male
sofferto è già, con cuor lieto, quest’uomo
dirò cane fedel della sua casa,
gómena che salvezza è della nave,
905saldo pilastro dell’eccelso tetto,
figliuolo unico al padre, terra apparsa
ai naviganti contro ogni speranza,
giorno fulgente dopo il turbine, acqua
di vena al peregrino arso di sete.
910Questo è il saluto ond’io t’onoro: e lunge
rimanga invidia: ché da troppi mali
fummo di già colpiti. Ora, o diletto,
dal cocchio scendi; e non poggiare al suolo,
quel piede, o sire, ch’Ilio calpestò.
915Che indugiate, fantesche? È vostro il compito
di ricoprire coi tappeti il suolo:
presto, velata sia la via di porpora,
sí che Giustizia lo conduca ai tetti
com’egli non credea. Quanto altro bramo,
920col voler degli Dei provvederà
che si compia, un pensier che non assonna.


AGAMENNONE

Figlia di Leda, della casa mia
custode, acconce son le tue parole:
lunga l’assenza fu, lungo il tuo dire.
925E l’elogio è tal dono, che dagli altri
solo venir ci può. Ma, quanto al resto,