Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/206

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LE FENICIE 203


E qui balenava un altro motivo di prim’ordine, che aveva ispirato a Sofocle un capolavoro: il contrasto fra il re e la fanciulla. Euripide accoglie anche questo, compreso il particolare delle mancate nozze con Emòne. E Antigone risolve di partire col vecchio padre.

Ma non per questo rinuncia a seppellire il fratello.

Dovessi, o padre, anche morir nell’opra
debito è che di terra io lo ricopra.

E qui, poiché Edipo deve, per ingiunzione di Creonte, partire immediatamente, fra i due disegni d’Antigone, accompagnare il padre, e seppellire il fratello, emerge vera e propria incompatibilità. Ma che cosa importa? Quanti motivi suggerisce il mito, quanti ne hanno creati i suoi grandi predecessori, quanti ne balenano nuovi alla sua fantasia, tanti il poeta ne accoglie nella sua opera. E quelli che non possono arrivare alla compiuta espressione scenica, li espone per via di narrazioni, di allusioni, di corali digressioni liriche. In un certo senso, Le Fenicie sono un corpus del fiero mito dei Labdàcidi.

Cosí, piú che ricchezza, c’è pletora. E s’intende che piú d’un critico abbia sentito il dovere professionale di vibrarvi un colpo di lancetta, per alleggerirne la pressione.

Ma in qual punto vibrarlo? Qui comincia la discordia.

Ossia: d’una cosa convengono tutti: della superfluità dell’episodio di Menecèo. «Non abbiam tempo — dice il Weil — d’ammirare la nobile risoluzione del figlio di Creonte; e quasi ci adiriamo con lui, come con un seccatore, che giunga a distogliere la nostra attenzione, mentre siamo occupati d’un