Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/209

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con pronte cagne, dalla terra, e altero
va della compagnia piú che mortale.
Né di questo io mi cruccio: a me che fa?
Ma, delle offese che lanciava Ippòlito
contro me stessa, oggi trarrò vendetta.
Il piú da un pezzo è pronto, e di fatica
poco mi resta omai: ché, mentre Ippolito
moveva, dalla magïon di Pítteo
di Pandíone al suol11, per contemplare
le cerimonie dei misteri sacri,
Fedra, del padre suo l’insigne sposa,
lo vide, e invaso da cocente amore,
per mio consiglio, n’ebbe il cuore. Ora essa,
pria di venire a questo suol Trezènio,
su la Pallàdia rupe onde si scopre
questa contrada, eresse un tempio a Cípride,
per questo amore di lontana terra;
e quindi innanzi, io volli che d’Ippòlito
avesse il nome questo tempio. Or, quando
Tesèo parti dalla Cecròpia terra,
il contagio a espïar del sangue sparso
dei Pallantídi12, a questa terra venne
con la sua sposa; ché patí fuggiasco
vivere un anno sopra estranea terra.
E qui geme la misera, e, colpita
dalle frecce d’amor, muta si strugge;
e niun dei servi il morbo suo conosce.
Né tale amore avrà sol questa fine:
a Tesèo svelerò questo mistero,
ché divenga palese; e con le sue
maledizioni, darà morte il padre
al giovinetto mio nemico: tale
privilegio a Tesèo diede Posídone,