Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/237

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a chi cede s’appressa, e invece, quando
trova un superbo, un’anima orgogliosa,
che credi tu?, lo afferra e ne fa strazio.
E per l’aure si libra, erra del mare
tra i flutti, Cipri, e da lei tutto ha vita.
Essa è colei che semina, che infonde
d’amor la brama, e tutti abbiamo origine
da lei, quanti viviam sopra la terra.
E quanti san le antiche storie, e quanti
vivono fra le Muse essi medesimi,
sanno che Giove, di Semèle il talamo
desiderò, sanno che un giorno Aurora,
la radïosa, per amore, Cèfalo
rapí fra i Numi. E tuttavia, nel cielo
dimorano essi, e gli altri Dei non fuggono,
e ad esser vinti, credo, si rassegnano
dal loro fato: e tu non vorrai cedere?
Ad altri patti, e non umani, il padre
generarti dovea, sotto l’impero
d’altri Numi, se tu non vuoi piegarti
a queste leggi. Tu non sai quanti uomini
pieni di senno, la vergogna vedono
dei loro tetti, e d’ignorarla fingono.
E quanti padri ai figli lor che fallano,
non dànno aiuto a tollerare Cípride?
Ché fra i mortali saggia usanza è questa:
nasconder ciò che non è bello. E a troppa
perfezïon la propria vita volgere
l’uomo non deve: ché neppure i tetti
onde coperte ha le sue case, può
rifinir troppo sottilmente. Or tu,
che sei caduta in simile sciagura,
come speri salvarti? Orvia, se i beni