Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) IV.djvu/222

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IFIGENIA IN TAURIDE 219

d’esser lontan da questa terra, in Argo,
e che dormivo nella stanza mia,
di giovinetta, e che un tremuoto il dorso
della terra scoteva, ed io fuggivo,
e, stando fuori, giú crollar vedevo
della casa i fastigi, e il tetto intero
precipitare dai pilastri eccelsi,
giacere al suolo. Una colonna sola
rimase in piedi, a quanto mi sembrò,
della casa paterna, e bionde chiome
fluiron giú dal capitello, e voce
assunse d’uomo. Ed io, quest’arte mia
pei foresti fatale, esercitando,
come alla morte fosse presso, d’acqua
la cospargevo, e lagrimavo. È tale
il sogno: ed io lo interpreto cosí.
È morto Oreste; il rito sopra lui
compiei: ché son colonna della casa
i figli maschi; e quelli su cui cadono
l’acque dei riti miei, son sacri a morte.
Né ad amici esser può che il sogno alluda:
ché figli Strofio22 non aveva, quando
a morte io venni. Or dunque, al fratel mio
libagïoni io voglio offrir — presente
a lui lontano: offrire altro non posso
con le fantesche mie, le donne ellène
che il signore mi die’. Per che cagione
non sono qui? Nel tempio entro frattanto
alla Dea sacro, ov’è la mia dimora.
Entra nel tempio.