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238 EURIPIDE


Quale gagliardo lottator, quale uomo
di piè veloce, chi, lanciando il disco
o scazzottando a stile d’arte un viso,
con le corone sue salvò la patria?
E che? tenendo nelle mani un disco,
pugnano coi nemici? E percotendo
gli scudi un contro l’altro, lungi tengono
l’invasor dalla patria? Eh via, che all’armi
non s’accostano, no! Pazzi non sono!
Convien di foglie ghirlandare gli uomini
saggi e dabbene, e chi la città guida
con giustizia e con senno, e lunge i mali
tien coi savî consigli, e sa sventare
rivolte e zuffe. Tali doti giovano
ai cittadini e a tutte le città.


Ed eccoci al Ciclope, che, a parte il suo pregio intrinseco, serve a darci assai bene un’idea delle leggi che i poeti imponevano a sé stessi componendo un dramma satiresco (Figura 3).

Una delle norme principali era quella ricordata in un luogo famoso dell’arte poetica d’Orazio:

Ne quicumque Deus, quicumque adhibebitur heros
regali conspectus in auro nuper et ostro
migret in obscuras humili sermone tabernas.

A questa norma non si attenevano davvero i poeti comici, quando nelle loro commedie introducevano Numi ed eroi. Basta ricordare l’Ermete de La Pace e l’Ercole de Gli Uccelli d’Aristofane, e, soprattutto, il Diòniso de Le Rane, perfettissimo esempio di buffonaggine e di pulcinellismo.