Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/32

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ANDROMACA 29

piú, chi giustizia in cuor non chiude. Ed io
temo che l'esser serva, a me contenda,
di parlare, sebbene io tante avrei
giuste ragioni; e se ti vinco, temo
il malanno per me: ché dei minori
l’argomentar vittorïoso, soffrono
di mal grado i superbi. Eppure, colpa
niuno dar mi potrà ch’io di me stessa
sia traditrice. O giovinetta, or dimmi:
per qual fido argomento io m’indurrei
a scacciar te dal tuo letto legittimo?
Inferïore ai Frigi è la città
forse di Sparta, o con la mia fortuna
io ti soverchio, o libera mi vedi?
O baldanzosa per la mia beltà
giovine e rigogliosa, o per gran copia
di ricchezze e d’amici, esser padrona
voglio, invece di te, della tua casa?
Per generare, invece di te, figli
schiavi, che seguan la mia trista rotta?
O chi sopporterà, se pure figli
tu non partorirai, che i figli miei
sian signori di Ftía? M’amano gli Èlleni
per via d’Ettore, forse? E oscura forse
e non regina io fui dei Frigi? — No,
lo sposo tuo non t’odia pei miei farmachi,
ma perché tu con lui non sai convivere:
questo è filtro d’amor: non la bellezza,
ma le virtú trattengono gli sposi;
tu, basta che alcunché t’irriti, Sparta
è la grande città, Sciro un nonnulla,
e tu sei ricca, e qui non sono ricchi,
e Menelao val piú d’Achille. Ed ecco