Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) I.djvu/164

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315-340 FILOTTETE 137

315fulgea, che salva m’ha finor la vita.
Ché, grazie al fuoco divenuto casa,
tutto lo speco a me procaccia, tranne
il non esser malato. Ora dell’isola
novelle ascolta, o figlio mio. Nocchieri
320mai di buon grado ad essa non s’accostano,
poiché porto non v’è, né dove possano
vender merci, e lucrare, e avere albergo.
Perciò, genti di senno non v’approdano.
Forse, qualcuno a mal suo grado: in lungo
325volger di tempo, anche avvenir può questo.
Quando giungon costoro, mi commiserano,
figlio, a parole; e forse un qualche cibo
v’aggiungon per pietà, forse una veste:
ma niuno vuole poi, quando io lo chieggo,
330salvo trarmi alla patria: e qui, tapino,
già da dieci anni, tra la fame e i guai,
mi struggo, e nutro il mio vorace morbo.
Questo gli Atrídi e il prepotente Ulisse
m’han fatto, o figlio. Deh, vogliano i Superi
335che ciò ch’io soffro essi a lor volta soffrano.
corifeo
Come gli altri che qui giunsero, anch’io,
Filottete, di te provo pietà.
neottolemo
Di tue parole, che son vere, anch’io
posso far fede: anch’io dei tristi Atrídi,
340del furbo Ulisse, esperïenza feci.