Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) II.djvu/149

Da Wikisource.
146 SOFOCLE 391-421

Ismene, rechi? Qual causa ti spinse?
Senza ragione, ben lo so, non giungi.
Forse mi annunci qualche nuovo orrore?
ismene
I patimenti ch’io soffersi, o padre,
395per ricercare a lungo ove tu vivere
potessi, non dirò: patire a doppio
non vo’, narrando il mal di già sofferto.
Ma i mali ch’ora incombono sui tuoi
miseri figli, a dirti questi giungo.
400Gara fra loro in prima fu, che il trono
si lasciasse a Creonte, e la città
non si contaminasse: ché vedevano
sagacemente la rovina antica
della prosapia, che la casa tua
405misera invase. E invece ora, per opera
di qualche Nume, e della scellerata
furia dell’alma, divampò fra loro,
sciagurati tre volte, un’empia gara
d’afferrare il comando, e il regio scettro.
410E il piú giovine d’anni23 e baldanzoso,
privò del trono Polinice, nato
prima di lui, da Tebe lo bandí.
Quegli, come fra noi la voce insiste,
ad Argo la vallosa andò fuggiasco,
415e parentele nuove24 ed alleati
si procacciò, ché tosto Argo dovesse
espugnar la Cadmèa terra a sua gloria,
od esaltarla sino al ciel: non sono
parole, quelle che ti dico, o padre:
420son terribili fatti. E come i Numi
abbian pietà dei mali tuoi, non vedo.