Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/353

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le aviene per la unione che tiene co’ corpi. E, si come noi abbiamo due bellezze, cioè la corporale e la spirituale, o vogliamo dire la visiva e la contemplativa, cosí anco due superiori ce ne restano a contemplar sempre, e delle quali dobbiamo cercare ed ingegnarsi divenir possessori. E, se piú tempo avessimo, vorremmo anco darveli ad intendere.

Arena. Di grazia, signora, per quella chiara bellezza dell’animo vostro, spiegateci anco quest’altra parte; ch’io spero ch’il sole si fermerá per cosí alto concetto.

Leonora. Noi abbiamo la bellezza del corpo, nella composizione delle parti, sottoposta al luogo ed al fuggir del tempo. Abbiamo poi quella dell’anima, che certo paté le mutazioni del tempo, ma da’ termini de’ luoghi è libera. La angelica ha poi solamente il numero, ma non è sottoposta all’altre due. Quella d’iddio non è in alcuno di questi termini, né d’altro paté, né a cosa è sottoposta. Volendo vedersi la forma del corpo, ad ognuno è concesso di vederlo a piacer suo. Ma, per mirare quella dell’anima, è di mistiero levare il peso della materia, congiunta alla beltá corporale. Per arrivare poi all’angelica, convienci rimovere non solamente gli spazi del luogo, ma eziandio i discorsi del tempo. Per contemplare poi la bellezza divina, tutte le altre cose ci bisogna lasciare. Onde, volendo averne parte, è di necessitá che gli allontaniamo non solamente da tutte le cose mondane, ma anco da quelle che si comprendono nei corpi celesti, fatta che di loro ci abbiamo scala bastante per arrivare a quel termine. Eccovi adunque quanto sia misteriosa la vera bellezza nostra, la quale dobbiamo cercare d’acquistare di maniera che del corpo poco o nulla curiamo. E quanto essa sia immensa, piú volte Mosé ed altri lo hanno dimostrato nello essere vinto dallo splendore divino; si che, per esser un mare di tutto, e noi quasi meno che gocciuole, dobbiamo usare ogni possa, col mezo della grazia e del lume di lui, per entrare in quello e parte di quello divenire, né di quella bellezza, che teme il tempo, punto curarci. Ma tempo è oggimai che io rimova la lingua mia, mal atta a si divini misteri, da cosí alti ragionamenti, i quali, non avendo io cosí felicemente saputi