Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/283

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libro terzo 277


diletta in loro. E, oimè! come mai per mezo dell’amato ed adoperato liscio ci ponno esse piacere cotanto, quando che infino le mura affumicate, non che i visi loro, ponendovisi la biacca, diventano bianche e oltre a ciò colorite, secondo che ’l dipintore di quelle piacerá di porre sopra il bianco? quando che infino, per lo rimenare, la pasta, che cosa è insensibile, non che le carni vive, gonfia e, dove mucida pareva, divien rilevata? Non cosí per mezo di sí fatta spurcizia (che potrebbe far per la stomacaggine uscir le pietre de’ muri e voglia di venir di recere l’anima a qual si voglia) accese tanti colei che ha il titolo d’esser stata cotanto bella, Elena dico. Non cosí la bella Ippodamia, non Penelope. Non piacque cosí all’iracondo, fiero e gagliardo Achille Polissena; non Ioie ed Onfale al possente e forte Ercole, e meno Deianira; non Ippolita e Fedra a Teseo crudele e perfido; non a Demofonte la sventurata Filli; non a Giasone Isifile; non a Paride la fedele Enone; non ad Oreste Ermione; non a Protesilao la infelicissima Laudomia; non a Bacco la derelitta Arianna; Dafne al biondo Apollo; Proserpina a Plutone; Venere a Marte, ad Anchise, a Mercurio ed al suo caro Adone; Danae, Europa, Leda e mille e mille a Giove. E, per passare nel campo delle istorie, non piacque cosí al sollecito Iarba la castissima (e taccia qui il volgo ignorante) e bellissima Didone; non cosí la modestissima Verginia a quel tiranno che le fece usar forza. Non cosí Ersilia a Romulo; Sofonisba al buon re Massinissa; Stratonica ad Antioco. Non cosí la bella Rachele al paziente padre Giacob; Bersabe al re David; Tamar ad Amone; e la saggia, casta, forte e vaga Iudit al misero Oloferne. Non piacquero cosí le sabine ai romani; Livia ad Augusto; e, finalmente, la famosa Lucrezia a Sesto Tarquino. Alla quale e ad antedette assai se la vera e non finta bellezza recò danno, non per altro fu, salvo perché, come disse il Petrarca, la beltá talora è nociva. La beltá, dico, di cui queste donne poco scaltre e avedute si mostrano di essere vaghe e desiose sí, che non potrebbono fare senza liscio e senza biacca, anzi, e dirò meglio, senza il suo disnore; ché, passando alla vergogna che ne risulta loro, non è disnore questo, e grande disnore? Nel vero sí.