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176 trattato dei governi

presso gli Indi i loro re, che avanzano li sudditi d’eccellenza di bene in infinito, è però manifesto, che per molte cagioni egli è forza ordinare, che tutti comunichino della scambievole podestà d’ubbidire, e di comandare. Perchè giusto è il medesimo infra i simili, e con difficoltà può essere, che un governo si mantenga senza giustizia; perchè sempre con li non partecipanti del governo stanno di tutta la provincia quei, che son vaghi di cose nuove, e che li partecipanti d’uno stato sieno tanti di numero, ch’e’ prevaglino a tutti questi è impossibil cosa. — E contuttociò non si dubita, che li cittadini di magistrato non debbino essere differenti da quei che son privati. Ma qualmente stia questa cosa, e come e’ n’abbino a partecipare, è uffizio da considerarsi dal legislatore, ed io n’ho innanzi parlato; cioè, che la natura stessa ha fatto questa distinzione infra quegli, che per sangue sono una cosa medesima, facendo questi giovani, dico, e quegli vecchi; dei quali all’una parte sta bene d’ubbidire, e all’altra di comandare. E nessuno, che è inferiore d’età, ha per male di stare sottoposto, nè si stima da più del superiore, e tanto meno l’ha ei per male, quando e’ sa, che pervenuto a quegli anni, egli avrà quel medesimo onore. — Debbesi dire pertanto, che in certo modo e’ sieno li medesimi quei, che comandano, e quei che ubbidiscono; e in un altro, che e’ non sieno li medesimi. Onde l’erudizione medesimamente si debbe porre in un certo modo la medesima, e in un certo altro diversa. Che’ e’ si dice, che chi ha ad essere buon principe, debbe imprima avere imparato a star sotto li comandamenti. E del principato, siccome io ho detto innanzi, una sorte n’è per cagione del principe, e l’altra per cagione del suddito; dei quali principati l’uno si dice essere signorile, e l’altro libero. E certi servigi sono differenti non