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242 impressioni e ricordi di bayreuth


ciale diletto all’interminabile sfilata delle carrozze, nella sua lenta ascesa dalla città alla collina, e alcuni suonatori di trombe e di tube, facendo il giro del teatro, annunziano nell’ora insolita, con poche battute tipiche del dramma, che lo spettacolo sta per cominciare, la gente s’affretta verso gli atrii ed alle varie porte somiglianti a vomitorii, che danno accesso agli scaglioni della platea costruita come una sezione d’arena, e un fremito d’impazienza sembra correre sulla folla ansiosa, un desiderio ardente lampeggia daglisguardi, tutti si danno premura di raggiungere ilproprio seggio, forse già fissato da più mesi.

Nel primo momento, uno sguardo ai pochi palchi che dominano il pubblico e la scena e si vanno rimpiendo di personaggi illustri, una occhiata fuggevole alla sala gremita di sente e illuminata dall’alto delle colonne che ne adornano le nude pareti laterali, un freddo scambio di saluti col vicino o colla vicina,i quali non vedono in noi che un possibile, se non sicuro, ostacolo al loro raccoglimento, nulla più: le porte si chiudono, le lampade si spengono e l’attenzione è incatenata per intero dal palco scenico ove una luce proveniente dall’invisibile orchestra rischiara appena i nobili arabeschi dorati della tela che fra breve s’aprirà a guisa di cortinaggio. Gli spettatori (circa 1650) si concentrano in un silenzio profondo, quel silenzio che nelle chiese precede il compimento dei divini misteri. E sembra difatti che il più sacro rito dell’Arte sì compia, nella più complessiva, nella più ideale delle sue manifestazioni.

La mente preparata da lungo studio e da una sicura conoscenza dei leifmotivesenza della quale la sua comunione col dramma riescirebbe imperfetta, giunge, mercé la sottigliezza penetrante della, musica e la straordinaria efficacia della scena alle più acute percezioni e si lascia affascinare e indurre al sogno, come se l’irreale le stesse dinnanzi, come se nel momentaneo oblio d’ogni terrena cura, assorgesse alla contemplazione di cose nuove. Ciò non toglie che Wagner sia profondamente umano, mal’umano in lui diventa sublime perchè risale alle forze primitive della vita.

Sarebbe vano l’attendersi dall’opera sua una sodisfazione esclusivamente musicale, la dolcezza del diletto melodico. Chi ha questa parziale aspirazione deve rivolgersi all’Italia che fu e sarà sempre l’impareggiabile terra del canto. La musica in Wagner non è che una mediatrice della volontaà1. Tuttavia, lo scopo dell’Arte non fu forse mai raggiunto in forma così potente come in quei drammi che sdegnando la missione comune d’allettare e divertire eleggono a principale loro scopo l’altissimo insegnamento che ci deriva dalla manifestazione complessiva e poetica del bello e del buono e ci elevano al disopra di noi stessi con efficacia rigeneratrice.

Il sentimento morale non va mai disgiunto dalle creazioni di ‘Wagner, nemmeno fra le licenze del mito che, assolte in principio da virtù soprannaturali, finiscono per soggiacere all’inevitabile castigo; l’idea del bene ha sempre ispirato il suo genio e la musica, più valente interprete della parola, ne va ricercando, non indarno, l’eco, nelle più intime fibre dell’essere nostro.

Il nobilissimo intento raggiunse la sua più forte espressione col Parsifal, nel quale s’incarna l’idea cristiana, donde ci deriva, con azione purificante, con evidenza luminosa un raggio celeste di verità, ovesembra che l’anima grande del poeta e del musicista già intravveda l’infinito, l’eterno. Ma se il Parsifal e quel Tristano che gli sgorgò di getto dalla mente liberissima, hanno raggiunto forse una maggiore perfezione, la Trilogia dell’Anello del Nibelungo vanta nella sua concettosa essenza, nella sua mirabile unità un’insuperata grandezza. Essa è come un immenso, intangibile, monumento di granito, che s’erge nel secolo nostro a massima gloria dell’umano ingegno.

Vent’anni or sono, il teatro di Bayreuth si inaugurava colla Trilogia. Protetto da un re geniale, festeggiato da molti fidi amici, assistito da tanti indefessi esecutori che avevano portato il culto fino alla più generosa abnegazione di loro stessi, dimenticando le fatiche delle lunghe quasi insuperabili prove, stimandosi altamente onorati della parte che ciascuno rappresentava nel grande insieme, Wagner vide realizzarsi, in quel giorno il più contrastato dei suoi desiderj e il più vitale, benché il fatto, unico nella storia dell’Arte, non fosse per lui il completo trionfo dei suoi principii ma un semplice iniziamento di essi.

Difatti, nella sua ardimentosa sfida contro il convenzionalismo i cui apostoli non gli risparmiarono né il sarcasmo né i libelli più mordaci, egli disse ai suoi ammiratori; in quel tempo ancora scarsi, ma tanto più ardenti: «Ora voi avete un’Arte tedesca, vedete ciò che si può fare, sappiate dunque volere... » e queste due affermazioni, lungi dal tradire lo smisurato orgoglio che 1i suoi nemici si compiacevano di attribuirgli, rivelano nella sicura coscienza di sè che è una delle prime forze del genio, non già il convincimento d’avere esaurito la manifestazione delle proprie teorie, ma il desiderio di fondare una nuova scuola che illustrasse la patria, ed hanno per ciò una grande importanza nazionale alla quale la Germania non ha potuto a lungo restare insensibile.

In verità, benchè le prime fonti dell’Arte wagnerlana si debbano cercare nell’ellenismo, essa ritrae molto della terra nordica ov’è sorta:

certi mezzi che qualche volta rendono ingenua la grande semplicità del mito; certi espedienti di apparizioni soprannaturali e metamorfosi stranissime; il libretto ove il poeta, non di rado sublime,anzi chè curarsi che il dramma si svolga

rapido e snello al suo fine, si trattiene quando

  1. Nietzsche la chiamò “Ancilla dramaturgica„