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284 la gentilezza dell’animo

ha fatto la tale!” È cosa penosa e disdicevole la febbre che sentono certune di ricambiare tosto con un oggetto di consimile valore un dono ricevuto: “E io poi che cosa le darò?” Date a quella persona un affettuoso, un grato pensiero per la memoria che s’ebbe di voi e non cercate subito di sdebitarvi di quel lieve sentimento di riconoscenza. La riconoscenza non pesa mai ad un cuor gentile.

Altro merito è quello dell’ascoltar bene, e in verità ben pochi lo facciamo. Se uno racconta un fatto che ci è già noto, per quanto sia infervorato nella narrazione, non siamo capaci di dissimularlo. E come spesso ci accade, di rivolgere con una certa ansietà gli occhi all’orologio, mentre il nostro interlocutore ci parla d’una cosa che gli sta a cuore, e siamo felici di poter cogliere la prima accidentale interruzione che sopraggiunge, nè più accenniamo di voler riprendere il discorso! E come accade di frequente, mentre noi confidiamo ad un altro qualche pena angosciosa, che il nostro distratto compagno colga il destro di una eguaglianza di fatti, d’un’allusione qualsiasi, per deviare il colloquio sopra se stesso, per descrivere ciò che anch’egli ha provato in questa o quella occasione consimile!

Pochi hanno il talento di narrar bene e con efficacia: tutti, volendo, possono imparare ad ascoltar bene dalla prima maestra ch’è la cortesia dell’animo, acquistando con ciò una qualità essenziale per essere particolarmente accetti in società.

È del pari riprovevole, a mio dire, (a meno che ciò non avvenga di consueto ad uso di studio), il parlare una lingua forestiera in presenza di chi non la comprende, sia pure in faccia ai domestici, ai quali si viene in tal modo a significare ch’essi non hanno il diritto d’essere trattati nemmeno coi primi precetti della civiltà.

Altra abitudine poco gentile è quella di correggere chi parla a sproposito, quando non siamo a ciò chiamati da speciale ufficio. Un disgraziato non conoscendo qualche lingua esotica, proferisce una parola, un cognome con accento sbagliato: ecco subito il correttore, la correttrice pronti a rettificare la pronunzia di quel vocabolo, ad umiliare il gran colpevole in presenza di chicchessia, per far pompa del proprio sapere, della superiorità che si attribuiscono.

Da egual fonte parte la manìa di vantarsi indirettamente, presso chi non ne gode, di certe prerogative, di certi vantaggi, il più delle volte affatto casuali, o che, se dipendenti da meriti proprî, col vanto scemano tosto di valore; anche la mancanza di gentilezza d’animo suggerisce spesso l’allusione coperta che tende a colpire sordamente, ad urtare in qualche intima fibra del cuore.

La parola schietta, detta con garbo, è, in certo modo, gentile