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che per amore della mia salute mi concedesse almeno una volta la grazia di poterla vedere. Allora ella mi scrisse invitandomi a raggiungerla a Venezia: quel primo cenno fu poi seguito da notizie più sicure e fimalmente della precisa indicazione del giorno in cui ella forse vi sarebbe andata sola.

A Padova, alla stazione del tram, non avevo visto nessuno; nel convoglio nemmeno.

La via da Padova a Fusina che fiancheggia il monotono canale del Brenta mi parve interminabile. Nel mio ardente desiderio della méta guardavo con occhio distratto al paeselli, alle borgate sparse nel piano, alle ville un po’ tristi ora, un po’ neglette, ove l’Arte dell’affresco ha profuso un tempo i suoi tesori e che si nascondevano malinconiche dietro i rami dei salici spruzzati d’un tenero verde novello.

Un vaporetto giallo attendeva, placidamente ancorato allo scalo primitivo di Fusina. Un’unica persona, una signora era scesa dal treno prima di me, m’aveva preceduto nella cabina, senza volgersi. Il primo momento il mio cuore ebbe un tale sussulto che mi parve di venir meno: desideravo quasi che non fosse lei, come se mi mancassero le forze per affrontare quel sospirato incontro. E nello smarrimento mortale della mia anima le rivolsi un timido sguardo.... Ah no, no, non poteva essere lei. Era una donna molto giovane, forse una fanciulla che le circostanze costringevano a viaggiare sola.

Il vaporetto aveva appena salpato quand’ella s’alzò e uscì quietamente dalla cabina.

Alla mia violenta agitazione succedeva una profonda amarezza. Ove poteva essere mia madre? ove la troverei? Incapace di starmene così rinchiuso, con quei dolorosi pensieri, volli cercare i conforti della natura, uscii sul ponte e andai a cercarmi un posto a poppa, in vista del paesaggio.

Con mia sorpresa la fanciulla mi aveva preceduto e senza curarsi del disagio vi rimaneva, in piedi, tutta assorta nella sua contemplazione. Un pescatore, appoggiato alla ringhiera, guardava anch’egli con occhio benevolo, fumando la sua-pipa, alle linee amiche del largo piano.

Il battello s’inoltrava nell’estuario, turbando coll’elice la placida distesa dell’acque e suscitando un subbuglio d’ondate alterne bianche e nere, entro quel turchiSALVATRICE no monotono e forte in cui il cielo poteva mirare liberamente il suo volubile disegno.

L’orizzonte era diviso in due semicerchi:

una fosca nebbia rossiccia squarciata da una zona di fuoco ne copriva una parte, l’altra andava dilagando in una mite uniformità cerulea che le secche, appena visibili, interrompevano a tratti con qualche lunga pennellata grigia. Sopra, una, nube immensa, ma leggera, si librava, come un velo.

— Ecco San Giorgio in Alga e le fortezze!

disse il pescatore desideroso di fare spiegazioni e additando le isole che si delimeavano, nere nere, nella laguna inerostata d’argento.

— E laggiù San Clemente e San Servolo....

quanta tristezza in quel paradiso!

rispose la fanciulla al marinaio — quello è il campanile di Malamocco.... soggiunse ella, sporgendo la sua piccola mano verso il lontano orizzonte, verso la spiaggia ove l’Adriatico si frange. Una vela passava in distanza e pareva nera anch’essa nella fulgidezza dello sfondo; un agile sandolo, vogato a due remi, ci raggiunse e sì dileguò; come cose morte e reiette molti piccolì topi da pesca, giacevano perduti, tra la sabbia, nella malinconica solitudine.

Io guardavo a quello spettacolo con ardente pensiero, e spesso anche guardavo alla nostra singolare compagna, così tranquilla, così serena, nella giovanile gravità del suo aspetto. Aveva vent’anni e la sua bellezza intelligente e pittorica sembrava fondersi cogl’incanti del creato. Il suo vestito semplicissimo, verde scuro, il suo cappello guernito da un velo bianco, formavano una macchietta simpatica, costituivano un valore nel grande quadro. Nella nostra comune ammirazione scambiammo a poco a poco qualche parola. Ell’aveva una voce di contralto armoniosa e dolce.

Il vaporetto, lasciando dietro a sè una lunga traccia spumeggiante in cui, adesso, l’azzurro si rimescolava con strana volubilità in tutti i toni, dal celeste all’indaco, procedeva sicuro nella via tracciata dai bianchi pali. Uno di quei pali reggeva una piccola lanterna: entrambi fummo colpiti dal debole lume così smarrito nell’immensità dell’acque.

Nella lontananza scorgevamo il profilo d’una catena di monti ancor tutti striati di neve; a oriente brillavano due fari’ COme stelle sorgenti dal mare; il cielo. s’era fatto di viola, ma la laguna fiammeggiava ancora di chiarori biondi. Dinanzi ai