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Pagina:Turco - Salvatrice.djvu/8

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essere così pallido che il portiere mi guardò stupefatto e mi rispose con una certa mal celata diffidenza ch’era arrivata in quel giorno.

_ PRincasa? chies’io tutto tremante.

- Le signorine sono uscite poc’anzi, ma la signora vi è...

— Sola?

— Credo, ma no, aspetti! c’è una visita: il commendatore de Rozas. Non riceverà certamente... se vuol lasciare il suo nome? soggiunse egli squadrandomi con insolenza.

— Tornerò domani, diss’îo tristamente e me n’andai. Andai peregrinando per calli e ponti per campi e camptelli, senza direzione alcuna, guidato soltanto da certi brani mirabili d’architettura che m’attraevano, quasi inconsciamente, nelle penombre dei riìi misteriosi.

Una serenata di mandolino e chitarra, una melodia in minore, piena di semplicità popolare e di amorosa dolcezza, mi trattenne a lungo sovra un tetro ponte, dinanzi ad un alto palazzo dalle finestre trilobate.

Nella mezza luce d’una piazza intravvidi il nobilissimo e fiero cavaliere del Verrocchio, poi i miei passi vaganti mi ricondussero quasi inconsapevole alla riva degli Schiavoni.

Nell’ampio bacino di San Marco tutto dormiva sulla nerezza turchina dell’acque, le barche, i bastimenti, i vapori. Dormiva un yacht bianco, fantastico, ancorato presso alla chiesa di San Giorgio. Si taceva, assorto nelle sue memorie, il palazzo ducale.

Udii ad un tratto il tonfo d’un remo e un fruscio simile a quello delle stoffe di seta:

era una gondola che guizzava furtiva sotto il ponte ‘dei Sospiri e che scomparve nel canale tenebroso. Quel canale e quel memore ponte mi misero un brivido nell’ossa.

I caffè si spopolavano; la riva era ormai deserta, la notte alta, mite, sciroccale.

Mi ridussi lentamente dinanzi all’albergo Danieli ove ogni lume era spento, m’avvicinai alla riva che l’onda accarezza con un mormorio lieve. Nulla più s’udiva fuori di quel mormorio dolcissimo e un rombo lontano, la voce sorda’ del mare burrascoso.

Mi sentii avvolgere nell’armonia indefinita della notte. Le tempie m’ardevano, il mio cervello era in fuoco; vIsioni diverse mi passavano dinanzi come fossero portate da un’interna bufera. Erano i tempi antichi quando la selva fetontèa si stendeva sulle spiagge dell’Adriatico, quando i primi veneti scorazzavano a cavallo lungo le dune e le verità della storia non avevano ancora profanata la poesia agreste e marinaresca della leggenda. Vedevo tutte le età, dalle più gloriose alle più tristi e nell’infinito dolore della grandezza che declina quella poesia sopravvivente di ricordì e di rimpianti esaltava con uno spasimo nuovo la mia mente eccitata.

Non ebbi una nozione giusta del tempo.

L’albergo Danieli mi teneva li, incatenato in una concentrazione febbrile, come se dovessi vegliare sul sonno di mia madre.

Una nebbia densa era scesa sulla laguna e laurora s’annunziava muta e malimconica.

S’intravvedevano nella fitta caligine, con forme e linee incerte i campanili, 1 palazzi, gli alberi delle navi; l’acqua aveva preso un aspetto strano di piombo in fusione; è battelli, solcandola sembravano rimestare un liquido incandescente e ridestarne l’ardore nascosto sotto l’opaca superficie. A tratti, pareva emergessero dall’onde delle lamine d’argento o dei tersi frammenti di specchio e i gabbiani, inquieti, si tuffavano voluttuosamente in quel luccichio, agitando le candide ali.

Ma il sole che sorgeva pallido e scialbo, a somiglianza d’una grande luna, all’1mprovviso trionfò, come uno squillo di tromba sopra una placida orchestra; il grigio velario si sciolse e l’incantevole città uscì da quella fumante atmosfera con un abbagliamento di luce. L’infinita serenità del cielo si riprodusse, con un tono più forte, nel bacino; l’azzurro riebbe il dominio; l’aria istessa prese una trasparenza aZzurrina, e il sole vibrò sulle onde un lungo riflesso, come una pioggia di diamanti che danzassero, follemente, nella spensierata giocondita dell’ora mattutina.

L’albergo Danieli si destava anch’esso, s’aprivano i balconi e la mia trepidazione si faceva angosciosa. M’allontanai per timore di tradirmi. Era affranto e mi sembrò che la giornata non finisse mal. Àndai tre volte alla posta, indarno. Le cose dell’Arte, per quanto bramate dal mio spirito, non avevano più la forza di distrarmi, il mio pensiero fisso era quello d’incontrarla o di vederla almeno da lontano! Brrai parte del dì nei luoghi più frequentati della città, col cuore in sussulto, collo sguardo ansioso: nulla.

Nel pomeriggio mi recai al Lido, colla stessa speranza. L’Adriatico era placidis-