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ultime lettere d’jacopo ortis. 109


Il padre di Teresa guardandolo gli diceva: O mio figlio! — Jacopo seguitò a leggere sommessamente: aprì a caso quello stesso volume, e tosto posandolo, esclamò:

                    ...Non diedi a voi per anco
Del mio coraggio prova: ei pur fia pari
Al dolor mio.

A questi versi Odoardo tornava, e gli udì proferire così efficacemente che si ristette su la porta pensoso. Mi narrava poi il signore T*** che a lui parve in quel momento di leggere la morte sul volto del nostro misero amico; e che in que’ giorni tutte le parole di lui ispiravano riverenza e pietà. Favellarono poi del suo viaggio; e quando Odoardo gli chiese se starebbe di molto a tornare: Sì, rispose,, potrei quasi giurare che non ci rivedremo più. — Non ci rivedremo noi più? dissegli il signore T*** con voce afflittissima. Allora Jacopo, come per rassicurarlo, lo guardò in viso con aria lieta insieme e tranquilla; e dopo breve silenzio, gli citò sorridendo quel passo del Petrarca:

                              Non so; ma forse
Tu starai in terra senza me gran tempo.

Ridottosi a casa su l’imbrunire, si chiuse; nè comparve fuori di stanza che la mattina seguente assai tardi. Porrò qui alcuni frammenti ch’io credo di quella notte, quantunque io non sappia assegnare veramente l’ora in cui furono scritti.


«Viltà? — Or tu che gridi viltà non se’ uno di quegl’infiniti mortali che infingardi guardano le loro catene, e non osano piangere, e baciano la mano che li flagella? Che è mai l’uomo? il coraggio fu sempre dominatore dell’universo perchè tutto è debolezza e paura.

Tu m’imputi di viltà, e ti vendi intanto l’anima e l’onore.

Vieni; mirami agonizzare boccheggiando nel mio sangue: non tremi tu? or chi è il vile? ma trammi questo coltello dal petto; — impugnalo; e di’ a te stesso: Dovrò vivere eterno? Dolore sommo, forte, ma breve e generoso. Chi sa! la fortuna ti prepara una morte più dolorosa e più infame. Confessa. Or che tu tieni quell’arma appuntata deliberatamente sovra il tuo cuore, non ti senti forse capace di ogni alta impresa, e non ti vedi libero padrone de’ tuoi tiranni?»

mezzanotte.

«Contemplo la campagna: guarda che notte serena e pacifica! Ecco la luna che sorge dietro la montagna. O luna, amica luna! Mandi ora tu forse su la faccia di Teresa un patetico raggio simile a questo che tu diffondi nell’anima mia? Ti ho sempre salutata mentre apparivi a consolare la muta solitudine della terra: più volte uscendo dalla casa di Teresa ho parlato con te, e tu eri testimonio de’ miei delirj: questi occhi molli di lagrime ti hanno più volte accompagnata in grembo alle nubi che ti ascondevano: ti hannocer-