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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 267

di alcun predominio di Ghibellini ììì Firenze, e delle riforme della Chiesa in Italia s’ erano dileguate per la morte d’Arrigo. Né la ribellione di molti popoli all’ autorità degl’ Imperadori, né le guerre civili in Germania gli concedevano se non il par- tito, al quale le anime maschie si appigliano più deliberata- mente, di viversi

In violenta e disperata pace.

La sua religione, ch’era profonda, ardita e magnanima: la generosa consolazione della sua vita; la certezza delia sua fama, stavano nel Poema Sacro. Dissi più sopra com’ ei pare sempre tentato, e sempre s’astiene di nominarlo nelle altre Opere sue ’. Infatti mentre predice che la lingua italiana ch’egli illastra nel suo Convito, risplenderà al tramontare della latina , pur senti eh’ ei si magnificava dentro il suo cuore per il Poema. — « Questo sarà quello pane orzato del qual si satolleranno » migliaja, e a me resteranno le sporte piene. Questo sarà » luce nuova, sole nuovo, il quale surgerà ove l’usato tramon- » terà; e darà luce a coloro che sono in tenebre e in oscurità » per 1’ usato sole che a loro non luce ’^. » - Pur a comporre tanta opera bisognavagli vita non indigente, né vagabonda; né poteva trovarla per sé e per i suoi tìgliuoli se non a Fi- renze. Quivi egli avrebbe di certo continuato ad abborrire i suoi concittadini ; e credevasi che alla Commedia destinata a non lasciarsi leggere se non quando l’autore fosse sotterra, avrebbe giovato la solitudine d’una villa, o il chiostro d’un monastero. Pare anche, che disprezzando i monaci e frati d’al- lora, 1 on disamasse i loro istituti. Bensì la storia ch’ei fu ve- ramente terziario accattone, e morivasi sacerdote professo dei frati Minori ’, è pura quanto la storia della santa morte di Bo- nifacio yiIT, trovato corpo incorrotto nella Basilica del Vati- cano; il che è documentato da testimonj e notari ^ Ben temo, non gU autori gravissimi, più cattolici che cristiani, riducano la Chiesa di Roma per la via del ridicolo a termini peggiori che non s’ è mai ritrovata sotto il flagello de’ suoi nemici. Ma di ciò veggano i Sommi Pontefici, successori di Leone XII. CXVI. Per altro, che papa Bonifacio dicesse al frate guerriero :

Tuo cuor non sospetti; Finor t’assolvo: e tu m’insegni fare Sì come Pan estri no in terra getti.

Lo ciol poss’io serrare e disserrare, Come tu sai ; però son due le chiavi -•


1 Vedi dietro, sez. XXIX.

2 Convito, pngg. 99-100.

a Zaccaria, -Stona letteraria d’Italia, voi. Vili. pag. 119; — ed altri presso 11 l’eili. Siemorìe. pag. f>8; — e la Biblioteca degli scrittori Francescani, presso il Tirabosciii, Storia, voi. V.

4 Rinaldi, Continuazione al Bavnio, ad an. 1303, num. 42-44.


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