Pagina:Vannicola - De profundis clamavi ad te, 1905.djvu/106

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allora su quella tenzione traendone gli accordi di una evocazione prodigiosa.

Come un nembo di musiche m’investì l’impeto del Ritmo divino ed eterno, misurante il moto fatale delle cose all’ultimo fine.


Sentii la voce sommessa e grave dell’Oriente levarsi lontana dai monumenti diruti di mille imperi, dagli altari infranti di mille templi; e dal settentrione venire uno strepere vario di grida e di battaglie, un clamore sterminato di suoni metallici e duri; e dal cuore profondo dell’Affrica sorgere di continuo l’urlo selvaggio della razza oppressa, raccapricciante come il fischio della tempesta.

Sentii vagare sul Mediterraneo la voce serena della Grecia e dell’Italia, l’eco della lira d’Orfeo, dell’Idillio di Teocrito, del canto vaporante delle Sirene, e innalzarsi e diffondersi per i limpidi cieli, e coordinare alle sue mille armonie recondite il discorde ammasso del frastuono anteriore.