Pagina:Vannicola - De profundis clamavi ad te, 1905.djvu/107

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Sentii il passo energico e misurato delle legioni romane, lo scroscio degl’imperi barbari, il fremito delle nazioni in scompiglio costrette a fondersi entro lo stampo di Roma.

Sentii sopra tutta la terra l’alare infaticato dell’aquile del Campidoglio.

Nell’intensità della mia finzione interiore, il drama sinfoniale delle stirpi fu pieno, saldo, preciso, possente, battuto e chiuso, di ferro.


Poi s’arrestò d’improvviso come se una superiore mano spezzasse le corde di un’arpa sterminata; e il cupo mormorio delle corde spezzate si ripercosse nella mia anima e vi si disperse come il tuono negli abissi.

Un fragore impetuoso e discorde rumoreggiò allora in confuso come un torrente che si precipiti da un’altezza infinita in una profondità infinita.

Vidi i barbari di Attila e di Alarico passare per quella terra come un’onda putrida e gonfia, e urtare i loro scudi alle porte del-