Pagina:Vannicola - De profundis clamavi ad te, 1905.djvu/28

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Erano frasi che si svolgevano sopra una specie di monodia languida, grave, lenta, timida, piena di dolcezza e di pianto; una monodia d’amore sprigionata da una carne che nulla conosceva dell’amore, da una carne morta prima di morire, sepolta senza bara e senza sudario; una monodia in cui pareva cristallizzata ogni sensazione di una carne insensibile, ogni fremito di una carne senza fremiti, ogni voluttà di una carne che non conosceva voluttà; una monodia fatta di carezze, fatta di abbracciamenti, gemente, mormorante, dolorante, lontanante, con dei movimenti quasi lascivi, con una pigrizia simile a un vaporare d’incensi.

Era come un sospirare d’anime preganti, come un lagrimare d’anime consolate, come un lenimento, un vanimento, uno struggimento, uno smorimento, terminante d’improvviso, quasi per una lagrima, sopra una nota triste.

Era come un pacificarsi dell’anima a grado a grado simile a un cero che si spegne, come